Comunicaseduzione | Marco Adragna

Quello che segue è il resoconto di Nicola (del sito http://www.lettera43.it) di un seminario gratuito tenuto dal siciliano Marco Adragna di comunicaseduzione.com

Prima cosa ne penso: Ok, “laureato all’università di Oxford specializzato in consulenza psicologica analitico transazionale a ke**kaword(?)” e sei andato in Tv.. Bene (devo aggiornare la mia biografia ed inserire Perito Aeronautico con indirizzo assistenza alla navigazione aerea) Ma nei video che ho visionato, scusa, ma la mia prima impressione è stata “è un pò agitato per insegnare la CNV (comunicazione non verbale)” probabilmente è solo questione di esperienza, e fin qui ci posso passare sopra, tutti abbiamo iniziato in qualche modo (beh magari prima di andare in tv ;)). Per quanto riguarda però i contenuti mi sembrano un pò pochi e confusi, e questo mi dispiace, perchè quando ci siamo scambiati un paio di email l’anno scorso per creare qualcosa di nuovo nella seduzione, è stato uno dei pochi che è stato molto positivo ed è stato disposto ad incontrarmi per un cafè. Penso però che con il tempo e la sufficiente passione possa migliorare. Per il momento utilizzare solo la CNV per insegnare la seduzione significa solo NCS: non ci siamo.

Lo spessore del portafoglio 😉

A scuola di seduzione
Perché un corso per imparare ad «attrarre l’amore» non basta per sentirsi meno soli.

di Nicola Baldoni

Non ci guardiamo in viso, non parliamo tra di noi nella sala Pong del Western Hotel dove sta per iniziare il nostro corso di seduzione. Siamo una quarantina. Per fortuna l’incontro si chiama L’arte della conversazione, e questo ci aiuta a combattere il pudore d’essere in questo seminterrato con una aria condizionata siberiana e Eye of the tiger – la canzone di Rocky – a manetta dalla filodiffusione, per imparare a trovare l’amore e ad attrarre l’anima gemella.
Ho già assistito a un corso di seduzione, ma in un film cupissimo del 1999, Magnolia. Anche lì si era in un hotel. Un tizio saliva sul palco vestito di pelle non accompagnato dalla canzone di Rocky, ma con una musica altrettanto motivazionale, lo Strauss di 2001 Odissea nello spazio.
LA BATTAGLIA DEL CESPUGLIO. Lì il corso si chiamava Seduci e distruggi. Al calare delle note il tizio gridava: «Rispettate il cazzo e domate la fica». Due, tre volte. Seguivano applausi. In platea erano tutti maschi, con le facce da benzinai dell’Arizona. Il tizio spiegava come vincere «la battaglia del cespuglio» e cose simili.
Nella sala Pong, invece, noi maschi siamo la maggioranza, ma non siamo abbandonati a noi stessi. Diciamo tre a uno la percentuale. Le facce sono quelle che si troverebbero in un qualsiasi bar del centro all’ora dell’aperitivo: la ragazza alla moda, il tizio vestito da discoteca, ma anche lo studente e la donna che potrebbe essere l’amministratrice delegata dell’Ansaldo o una professoressa di greco un po’ triste perché ha poco tempo di leggere. Siamo variegati. Se però c’è una decina di 20enni, non c’è una sola ragazza sotto i 30. Vi assicuro, poi, che nessuno di noi nella sala Pong è un mostro. Non siamo brutti.

Se non si comunica è solo per mancanza di pratica
Per comunicare con l’altro sesso è importante imparare a decifrare il linguaggio del corpo.
.Sulla sedia abbiamo trovato carta, penna e una caramella. Aspettiamo. Chiedo alla ragazza vicino a me (carina, vestito blu appena sopra le ginocchia, smartphone da 400 euro tra le mani, auricolare fisso all’orecchio – tutti hanno un telefonino più fico del mio nella sala Pong) da quante volte Eye of the tiger esce dalla filodiffusione (in realtà vorrei domandarle se la canzone la fa sentire tonica e motivata). «Da un po’», risponde lei. Poi mi guarda spaurita e si volta dall’altra parte.
Chi è arrivato con un amico/a chiacchiera. Chi è venuto solo nella sala Pong (una stanza bianca bianca, che assomiglia a una gigantesca sala d’aspetto di un dentista) non scambia una parola col vicino. Ah, due porte dopo la nostra stanza c’è anche la sala Ping.
Eye of the tiger scompare sostituita da una canzoncina pop di due anni fa, poi da una roba disco. La ragazza che ha preso i nostri nomi all’entrata inizia a trasportare delle grandi sedie per gli ultimi arrivati e nessuno dei maschi delle prime file allunga un braccio per aiutarla.
COME ROMPERE IL GHIACCIO. Il nostro corso di seduzione – qualcosa che mette insieme counseling, marketing, programmazione neurolinguistica – ha capitoli tipo: «Come rompere il ghiaccio con una ragazza», «Seduzione: i 10 errori più comuni dell’uomo».
Ci sono consigli tipo: «Commenta le sue azioni. Siete in libreria, lei è sovrappensiero e si mangia le unghie, allora tu le dici serio serio: ‘Scusa, sembrano deliziose, me le faresti assaggiare?’.
Aspetti qualche secondo, in modo che lei capisca la battuta, e poi sorridi insieme a lei». Oppure: «Non fissarla a lungo o la metti in imbarazzo», oppure: «Al supermercato lei è indecisa su quali biscotti scegliere? Non aspettare che chieda un consiglio: non lo farà. Prendi l’iniziativa e spiegale quale marca è la migliore».
GINNASTICA PER COMUNICARE La battuta sulle unghie mi pare zoppicare, ma sono convito che sia salutare pensare che, se non comunichiamo, è solo per una mancanza di pratica. Esiste, in realtà, una specifica ginnastica correttiva: basta seguirla e si imparerà a essere più belli per il prossimo. Questo mi piacerebbe.
O almeno non sarebbe male imparare a dare una mano quando una ragazza trasporta sedie o a mischiarsi tra uomini e donne in una stanza. Perché, qui nella sala Pong, vige una stretta divisione sessista. Le ragazze si sono sedute accanto alla ragazze, i maschi accanto ai maschi. Pure classista, i 20enni accanto ai 20ennni eccetera.

Ventuno moduli per attrarre l’anima gemella
La musica si ferma. Ora si parte. La ragazza accanto a me si toglie l’auricolare. I ragazzini tirano su col naso. Quella che ci ha accolto introduce (e oramai mi pare di avere la psicosi di decifrare ciò che è casuale – stavo per scrivere “reale” – da ciò che è una scelta di marketing, perché mi domando se lei è stata scelta perché carina, ma non troppo appariscente da intimidire, se ha 30 anni per stare sul confine tra la serietà dell’adulto e il desiderabile della teen) spiega che forse molti di noi avranno sentito parlare di questo corso al Tg1 (sul sito del relatore – seduzione/comunicazione – viene riportato il video del Tg1, è uno di quei servizi tra il gossip e la spigolatura fatti per buttare ciccia nelle edizioni notturne).
RICONOSCERE L’AMORE. Ci viene spiegato che il seminario di oggi fa parte di uno dei 21 moduli in cui si articola il corso «Attrarre l’amore». Il relatore entra. È in camicia celeste e cravatta regimental, come i consulenti aziendali nei corsi di formazione: ordinatissimo. 35 anni, alto, un bel ragazzo.
L’ora e mezza di seminario che promette di aiutarci ad attrarre l’anima gemella e che sta iniziando nella sala Pong, avrà la struttura della buona conferenza suggerita dai manuali di vendita: si parte con un aneddoto personale; si passa a qualcosa che conoscono tutti per esemplificare (in questo caso un film di successo); si fa appello alle esperienze del pubblico per legarlo al racconto; il relatore confessa un problema che le cose che ha studiato, e che sta raccontando, gli hanno permesso di risolvere; si gioca. Non c’è niente di male. Mi è capitato lo stesso a un seminario sulla spiritualità nei 10 comandamenti tenuto da un prete. Lì mi ha fatto impressione.

Imparare a far star bene il prossimo
George Clooney e Anna Kendrick nel film Tra le nuvole.
Il relatore parte da una domanda: «Che cosa si deve fare per far star bene il prossimo?». Non lo sappiamo. Dopo il silenzio a cui lo sottoponiamo ci spiega che ci sono tre tecniche: l’ascolto attivo, l’uscita dai ruoli e il cambio di significati. Le esemplifica con Tra le nuvole, film del 2011 di Jason Reitman, sui tagliatori di teste, cioè su chi, per mestiere, licenza la gente. E qui succede una cosa interessante, anzi due.
Nella scena, George Clooney e Anna Kendrick sono in un ufficio di vetri fumé per licenziare un tipo. La Kendrick allunga un opuscolo e ripete una frase dal manuale. Il tipo ribatte che perso il lavoro perderà la stima dei figli. Clooney gli fa domande (ascolto attivo), gli dice che i suoi figli non l’hanno mai stimato perché faceva un lavoro ripetitivo (esce dal ruolo del consulente), gli spiega che questa è l’opportunità per inseguire i sogni che aveva abbandonato (cambia di significato all’evento che si sta vivendo).
La cosa interessante è che nessuno nella sala Pong intende la scena e sto ancora a domandarmi se significa qualcosa. Cioè la Kendrich ripete a pappagallo, ma come una studentessa in panico il giorno dell’esame.
LA FREDDEZZA DEL RELATORE. Deglutisce, muove nervosa le mani… e nessuno presta un secondo a notarlo. Alla domanda del relatore su che cosa sta sbagliando il personaggio piovono insulti: snocciola dati, è cinica, fredda, indifferente.
Poi, quando il relatore tira le fila e dice che Clooney è riuscito a far riprendere coraggio a un uomo in un momento difficile, una signora tra di noi (capelli rossi, sguardo duro, 45 anni portati a testa alta, ribadendo che non è lì il problema) si impunta a dire che non è possibile, perché perdere il lavoro è una cosa bruttissima.
Ne nasce un dibattito. E sembra tutta lì la questione. Cioè, e questa è la seconda cosa interessante, nessuno ha qualcosa da chiedere sul fatto che una scena in cui un esperto di licenziamenti sbatte in mezzo alla strada un tipo e quello lo ringrazia, invece di arrabbiarsi, sia posta come esempio del «far star bene al prossimo». Stiamo circa un’ora su questa cosa qui. Non pochi prendono appunti. Ancora nessuno si guarda intorno.

Decifrare il linguaggio del corpo
I protagonisti della serie tivù Lie to me.
Il relatore, per illustrarci come il cambio di ruolo ci può aiutare negli approcci, torna agli aneddoti. Racconta che una volta è entrato in una libreria e c’era una commessa deliziosa. Un tipo davanti a me, che ho odiato da quando sono entrato, grugnisce soddisfatto. Credo sia la parola “commessa” a farlo felice, non “libreria”. Il relatore ci spiega che conoscere la commessa chiedendole un libro è un errore. Così rimaniamo prigionieri nel ruolo del cliente. Bisogna rompere gli schemi, per esempio suggerendole noi un libro. Il tipo grugnisce ancora. Stavolta penso per dimostrare che lui già lo sapeva.
VOLTI DA LEGGERE. Ora si gioca. Un videoproiettore fa scorrere una sequenza di volti. Ogni faccia testimonia un sentimento diverso: rabbia, stupore, superiorità…Veniamo invitati a decifrare occhi e labbra perché il linguaggio del corpo ci insegna cosa, in una conversazione, il prossimo pensa realmente di noi. È una cosa scientifica. Ci hanno fatto anche una serie tivù, Lie to me. «Chi l’ha vista?». Alziamo la mano in tre. Uno è il relatore.
Il pubblico risponde (quasi mai una frase, giusto una parola buttata lì) e sempre verso il relatore, nessuno di noi corsisti (seminaristi? O cosa?) prende lo spunto per legarsi all’intervento del vicino/a. Il guaio è che non ci becchiamo, sbagliamo spesso. Per 30 minuti sbagliamo. E, a dirla tutta, all’inizio non abbiamo neanche saputo dire che cosa «fa star bene il prossimo».
Forse perché siamo stanchi, forse perché non ci fa piacere vedere che non siamo capaci di leggere i visi che ci guardano, ma comincia a essere palpabile un’aria di spaesamento. Specchiarci nelle stesse difficoltà non ci affratella, a noi della sala Pong. Come quando si va a fare la spesa nei discount, non si vede l’ora di uscire per paura di essere scoperti come quelli che non arrivano a fine mese. Essere nella sala Pong ci pare una confessione di qualcosa che ci renda inguardabili e immeritevoli.

L’importanza di sapere che siamo giusti e buoni
Anche il relatore sembra contagiato da questo pudore perché tutti gli esempi che seguono non vengono dal piano degli incontri, ma dal mondo del lavoro: il bravo venditore, il rapporto con il capo o con i nuovi clienti… Come se la prospettiva professionale potesse portare via la vergogna di dover imparare come si dice «ciao» a uno sconosciuta, o come si capisce che una ragazza non è cinica, ma spaventata.
Quello che odio riprende a grugnire. Questa volta perché al relatore è uscita una parolaccia. Grugnisce come quello che la sa lunga, come quello che c’è passato. Ha il telefonino in mano dall’inizio del seminario e le cosce sempre spalancate, a messaggio promozionale dell’armadillo nelle mutande, probabilmente.
Una signora sui cinquanta con la gonna bianca plissetta, oro ovunque, le labbra rifatte – entrata nella sala Pong col viso bianchissimo – quella che in film vedresti nella parte della donna che vuole riconquistare il marito che l’ha abbandonata per la ragazza più giovane, quella che non sa più se cerca l’amore o solo di salvare il conto corrente dalla poco di buono, è oramai una statua di sale. All’uscita dal corso proverò a sorriderle, ma scapperà via in taxi e a occhi bassi. Anche la mia vicina che, senza mai voltarsi, ride ogni volta che sottovoce dico stupidaggini fuggirà immediatamente.
MAI RIMANDARE UN PROBLEMA. Si sta per chiudere. Il relatore ci racconta che il suo problema è il rimandare. Non c’è niente di più folle di sapere di avere un problema e non fare nulla per affrontarlo. Ci dice di prenderci un po’ di tempo per riflettere, ma la gente comincia ad alzarsi e il rumore delle sedie graffia il silenzio.
Allora mi arriva quella strana depressione quando, alla fine di un appuntamento, senti che non sei stato abbastanza intelligente, abbastanza buffo. Ho la sensazione che ciò ci farebbe felici – a noi che usciamo dalla sala Pong senza offrire un caffè o una bottiglia di grappa a chi come noi c’ha fatto sapere di non avere qualcuno accanto – è un tizio vestito di pelle che ci urlasse parolacce: «Rispettate quello, domate quell’altra» o viceversa, secondo gusti o provenienze.
Qualcuno che ci spieghi che noi siamo quelli giusti e buoni. L’errore è stato piegarci alla melanconia mentre bastava dar credito a ciò che abbiamo nelle mutande. Quello è il segreto per smettere di soffrire così tanto, perché torniamo a casa esattamente come siamo usciti: soli.

Lunedì, 11 Luglio 2011.

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